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Calendario LOGO 2026 – Agosto: Jesse Owens

Postato da LOGO SPA in Calendario, Novità il 1 Set 2025

Agosto 1936. Il mondo assisteva sbalordito alla marcia trionfale di Jesse Owens a Berlino. Con quattro medaglie d’oro al collo, l’atleta nordamericano demolì il mito della supremazia della razza bianca di fronte agli occhi del Führer. Eppure, per il campione, la battaglia più dura non era finita. Al suo ritorno negli Stati Uniti, Owens, nato in Alabama nel 1913, fu trattato non come un eroe, ma come l’afroamericano che era.

Jesse Owens illustrazione

Owens arrivò a Berlino già leggendario: nel 1935 aveva messo in scena “i migliori quarantacinque minuti dello sport” in una singola gara, battendo o eguagliando sei record mondiali, incluso un salto in lungo che resistette per un quarto di secolo.

L’amara ironia del ritorno

La Germania nazista gli aveva concesso un rispetto negato dal suo Paese. Mentre a Berlino viaggiava e alloggiava con gli atleti bianchi, al suo rientro, la parità cessò. Jesse tornò negli Stati Uniti aspettandosi un riconoscimento da parte del suo governo, che non arrivò mai.

La discriminazione era palese e brutale. Il presidente Franklin Delano Roosevelt si rifiutò di incontrarlo o persino di inviargli una lettera, per paura di turbare gli equilibri razziali del Sud. L’apice dell’umiliazione si presentò in occasione del ricevimento d’onore a New York: al Waldorf Astoria, l’eroe olimpico non poté usare la porta principale per accedere all’evento, ma fu costretto a salire con un montacarichi di servizio.

Jesse Owens salto in lungo

Secondo l’ex atleta francese Maryse Ewanjé-Epée, Owens impiegò tutta la vita per capire che cosa aveva significato il suo trionfo ai giochi olimpici, e non seppe impersonare questo ruolo.

L’oro olimpico non valeva una vita dignitosa. La gloria svanì e Owens si ritrovò a fare la lavandaia, il ballerino, o a partecipare a spettacoli da circo in cui la sua velocità era messa in gara contro cani e automobili. “Vendeva le sue velocissime gambe” per sopravvivere. Nonostante la sua cultura e la sua passione per il jazz, l’America non gli offrì nulla di meglio.

Dal declino alla riscossa

Il riscatto istituzionale arrivò solo negli anni Cinquanta, quando il presidente Dwight Eisenhower lo nominò ambasciatore dello sport degli Stati Uniti nel Terzo mondo, con uno stipendio annuale di 75mila dollari. Tuttavia, alla fine del decennio, Owens abbandonò definitivamente lo sport e gli eventi sociali per fondare una propria impresa di relazioni pubbliche. L’ex atleta si dedicò a recitare discorsi motivazionali in tutto il Paese, in cui narrava aneddoti della sua vita da cui emergevano la sua onestà e purezza.

Con l’esplosione del movimento Black Power, Owens fu duramente criticato per il suo iniziale distacco. Fu usato dal governo per “mediare” con gli atleti attivisti prima dei giochi di Città del Messico nel 1968. Ma la parte del “nero buono” non reggeva più. Quattro anni dopo, Owens ruppe il silenzio con il libro Sono cambiato, ammettendo la sua svolta ideologica: “Ho capito che la lotta, nella sua accezione migliore, era l’unica risposta possibile per un afroamericano“.

JEsse Owens corsa iconic

Il 31 marzo 1980, “l’antilope d’ebano” morì di cancro ai polmoni. Il presidente Jimmy Carter, nel tributargli l’ultimo omaggio, riconobbe l’eredità dell’atleta: “Forse nessun atleta ha incarnato meglio la lotta umana contro la tirannia, la povertà e il fanatismo razziale“.

Non importa cosa trovi alla fine di una corsa, l’importante è quello che provi mentre stai correndo. Il miracolo non è essere giunto al traguardo, ma aver avuto il coraggio di partire