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Calendario LOGO 2026 – Febbraio: Abebe Bikila
La vittoria storica di Abebe Bikila alle Olimpiadi di Roma del 1960 ha segnato una svolta epocale nello sport: Bikila è il primo africano a ricevere un oro olimpico e la storia di come l’ha conquistato è oltremodo avvincente.

Il 10 settembre 1960 fu una giornata calda. Per la prima volta i 42 chilometri della maratona si disputano in notturna, per evitare la micidiale afa del giorno ma anche per suscitare un effetto suggestivo negli spettatori, illuminando le meraviglie archeologiche della capitale con riflettori e fiaccole, accese a migliaia.
Nessuno presta attenzione al numero 11, il corridore abissino dalle guance scavate e dai baffetti sottili. Abebe Bikila ha 28 anni e ha cominciato a correre tardi, solo 4 anni prima. Agente della guardia imperiale di Hailé Selassié, in Etipoia, s’è guadagnato il biglietto per Roma dominando i campionati militari nazionali del 1956. Abebe è allenato dal militare svedese Onni Niskanen, si dice che da ragazzo abbia fatto il pastore e che, per correre la gara più massacrante, si nutra solo di un’arancia al giorno. In patria non ha rivali, all’estero è sconosciuto.
Una maratona corsa a piedi nudi
La gara olimpica inizia al Campidoglio nella soffusa luce del tramonto. Bikila si piazza in fondo al plotone e pian piano risale. S’appiccica ad uno dei favoriti volando su sampietrini e lastroni di basolato. La corsa dell’etiope è fluida e leggera.
Non è solo la scioltezza e la facilità con cui corre Abebe a lasciare il pubblico senza fiato. L’atleta sfreccia senza sforzi apparenti correndo a piedi scalzi. Si, avete capito bene. Abebe Bikila ha deciso di affrontare la maratona Romana a piedi nudi, come un guerriero dei suoi altopiani.

Quei piedi nudi ne fanno, mentre aumentano le falcate, un eroe riemerso da tempi antichi. La notte si colora della sua maglietta rossa. E il poliziotto abissino taglia il traguardo sotto l’Arco di Costantino con 25 secondi di vantaggio sul e registra il nuovo record mondiale, che ha dell’incredibile: il tempo record di 2h 15’16” è stato ottenuto senza scarpe.
Al traguardo arriva ancora in forma, non come i rivali che si buttano per terra boccheggianti o si coprono con un plaid: pratica esercizi di rilassamento, come se avesse fatto una mezz’oretta di stretching. È il primo alloro olimpico per l’Etiopia e per l’Africa Nera. La rivincita di un intero continente sul suo passato coloniale. Quando i cronisti gli chiedono perché abbia corso scalzo, Bikila risponde: “Ho voluto che il mondo sapesse che il mio Paese ha sempre vinto con determinazione ed eroismo“
Sebbene da popolo romantico quale siamo ci piacerebbe fosse solo una quesitone di orgoglio patriottico,pare che ci fosse una ragione più prosaica: le scarpette per la gara gli erano giunte solo il giorno prima, gli andavano strette e all’ultimo momento aveva deciso di levarsele. Un gesto, in ogni caso, oltremodo coraggioso e strabiliante.
Da quei piedi, giurarono i testimoni, tolsero di tutto dopo la gara: anche schegge di vetro e di legno.
Olimpiadi di Roma 1960: cosa accadde dopo?
In patria fu accolto da eroe. Il negus lo promosse sergente, gli regalò una casa (dove il campione si installò con la moglie e i primi due dei quattro figli che avrebbero avuto) e un sontuoso servizio di posate. Quando, nel 1962, scoppiò una rivolta ad Addis Abeba, Bikila fu l’unica delle guardie imperiali esentata dai combattimenti.

Quando, nel 1962, scoppiò una rivolta ad Addis Abeba, Bikila fu l’unica delle guardie imperiali esentata dai combattimenti. Incoraggiato dal negus, Bikila decise di provare a battere un ulteriore record: diventare il primo atleta a vincere due maratone olimpiche. E così, all’età di 32 anni, partecipò alle olimpiadi di Tokyo, questa volta con le scarpe scarpette e, ai giornalisti che gli chiedevano conto della “conversione”, replicò quasi sdegnosamente: “Nessuno più nell’intera Africa va a piedi scalzi“. Il mito romantico del corridore selvaggio era in procinto d’essere archiviato: s’era capito che dietro la straordinaria facilità di corsa c’era una preparazione scientifica che nulla lasciava al caso.
Il mito romantico del corridore selvaggio era in procinto d’essere archiviato: s’era capito che dietro la straordinaria facilità di corsa c’era una preparazione scientifica che nulla lasciava al caso. In gara l’etiope stracciò gli avversari (4 minuti dal secondo classificato) e polverizzò il suo record mondiale, nonostante appena un mese prima fosse stato operato di appendicite e non aveva potuto allenarsi al meglio.
In patria lo attendevano un’altra promozione (i gradi di capitano), un’automobile e nuove onorificenze. La favola del più grande maratoneta d’ogni tempo si interruppe all’Olimpiade messicana del 1968. Al 17° chilometro Bikila fu costretto a ritirarsi per i postumi d’una distorsione.

Di lì a poco il destino gli presentò il più tragico dei conti: la sera del 25 marzo 1969, mentre stava rientrando nella nebbia ad Addis Abeba, perse il controllo della sua vettura e precipitò in una scarpata. Lo ritrovarono la mattina dopo ancora privo di sensi e paralizzato alle gambe. Per l’uomo che aveva vinto due olimpiadi e due mondiali era la più terribile delle nemesi: sarebbe finito su una sedia a rotelle.
Ma l’etiope era un combattente nato e non si arrese: si aggrappò agli sport paraolimpici – tiro con l’arco, slitta, ping pong – e vinse qualche gara anche in carrozzella. Quando, però, nell’agosto 1972, ingrassato e ingrigito, assistette alla sfilata inaugurale dell’Olimpiade di Monaco, giurò che non avrebbe più messo piede in uno stadio di atletica. Come se non potesse esserci una vita senza olimpiadi, l’anno dopo il superman della lunga distanza si spense, all’età di 41 anni, per un ictus.
“Esteriormente sono un uomo, ma dentro mi sento un cavallo, uno di quei purosangue che vivono per correre“.